t-space.it , Milano:6 aprile - 7 maggio 2016 Giulia Spreafico. Carta bianca


Il 6 aprile 2016 t-space inaugura il suo programma espositivo con Carta bianca, prima personale di Giulia Spreafico, a cura di Elena D’Angelo. In mostra tre cicli di lavori rappresentativi di una ricerca durata due anni e concentrata sulle esplorazioni dei ghiacci Antartici, sfide autoimposte al fine di raggiungere luoghi distinguibili solo grazie ad un calcolo matematico.
Giulia Spreafico (Lecco, 1990) analizza lo scontro umano con la potentissima natura dell'estremo sud, si concentra sui passi degli esploratori tra i ghiacci, sulle loro ostinate ricerche di un nulla dal nome grande.
La carta è bianca di neve, ma è anche bianca perché è inesplorata, in pochissimi hanno camminato tra quei ghiacci, in ancora meno ne hanno raggiunto il centro. L’artista li spia, tra le pagine dei libri e dalle foto satellitari, cercando le loro tracce nel freddo paesaggio.
Un punto muto (2014) è una variazione sulle fotografie dei primi esploratori; in esse gli iceberg si incontrano e le coste si uniscono, legate da sottili ponti di fili neri. Gli stessi fili costruiscono le case di Momentaneamente al buio (2015), fotografie satellitari su cui l’artista ricama dei rifugi, tentativo di trovare una dimensione personale in un luogo meravigliosamente ostile. Ripercorsi (P.O.I.) (2016) insegue i passi di una delle ultime spedizioni in Antartide che, nel 2007, ha spinto quattro avventurieri contemporanei fino al Polo dell'inaccessibilità (Pole Of Inaccessibility), trascinati dal desiderio di un luogo che ha nome solo per una necessità teorica.
Carta bianca è anche la possibilità di un nuovo inizio. Giulia Spreafico è parte integrante di t-space, lo ha visto nascere e nell’istante in cui il progetto è partito, è iniziata anche la pianificazione della sua mostra in un luogo dove (ri)cominciare la ricerca, lo studio e il lavoro. C’è un limite alla conoscenza, una voragine di incomprensione, un punto in cui non bastano i libri, le fotografie, le spiegazioni o le storie. C’è uno spazio inspiegabile in cui non importa se Robert Falcon Scott ha raggiunto il Polo Sud e dove non importa nemmeno se sia stato il primo. Lì fotografare a colori ha poco senso perché ogni cosa è bianca e i pixel ripetuti di una schermata confondono le linee di una veduta dall’alto.
Il lavoro di Giulia Spreafico abita in quel luogo, si attacca ai piedi degli esploratori, viaggia aggrappato alle slitte dei cani, sospeso da un aquilone, incastrato sotto il ghiaccio che ricopre una statua di Lenin. È un’opera che si estende nel tempo, che attraversa un secolo di sforzi incomprensibili, ognuno concentrato al raggiungimento di un polo, il frutto più remoto della percezione umana del mondo. A più di cento anni dalla sua scoperta il centro dell’Antartide ha ancora lo stesso inebriante sapore di selvaggio, un oceano contratto, teso, aggrappato ad un immenso continente che non è mai emerso. Quella distesa di ghiaccio rimane un desiderio assurdo, la violenta misura di una difficoltà.
Testo in catalogo a cura di Elena D'Angelo.
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